Il consenso informato nella “nuova” Responsabilità Sanitaria: cos’è , a cosa serve, cosa deve contenere?

Negli anni il rapporto medico-paziente è sensibilmente cambiato e, tra diverse trasformazioni, è ormai certamente superata la concezione “paternalistica” che vedeva il medico in una posizione che gli consentiva di agire, o di omettere di agire, per il bene di una persona senza che sia necessario chiedere il suo assenso.

Ritenere che colui che esercitava la condotta medica, avesse la competenza tecnica necessaria per decidere in favore e per conto del beneficiario (il paziente), è un modello chiaramente oggi non più applicabile.

A questo “modello” si è sostituita una nuova relazione che pone al centro il principio etico del rispetto dell’autonomia del paziente.

È proprio in tale contesto che oggi assume rilievo la disciplina del consenso informato, fondata sull’idea, diversa, o per meglio dire opposta, che un intervento medico non può considerarsi lecito se prima il paziente non ha ricevuto dal medico le informazioni adeguate e non ha dato il suo consenso “libero e consapevole” alle cure.

La regola fondamentale, oggi, è che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge (Art. 1, co. 1 L. n. 219/2017).

Consenso informato: Cos’è e a cosa serve

Come appena accennato, il consenso informato serve a legittimare l’attività medica ed è necessario per autorizzare un trattamento sanitario sulla propria persona.

Il consenso informato al trattamento sanitario va tenuto distinto dal consenso in tema di privacy.

Il consenso informato viene prestato dal paziente per autorizzare le cure o i trattamenti sanitari proposti dal medico mentre il consenso privacy viene prestato dal soggetto interessato per autorizzare il trattamento dei dati personali.

In pratica, attraverso il consenso, il paziente esprime consapevolmente la sua volontà di sottoporsi ad uno specifico trattamento.

Il consenso deve essere, “consapevole” cioè preceduto da un’adeguata informativa.

Ciò in quanto, l’’articolo 1 prevede che ogni persona “ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.

Il consenso informato è inteso, quindi, quale espressione della consapevole adesione del paziente all’atto medico, dal momento che impone al sanitario di fornire al paziente un’informazione più completa ed esaustiva possibile.

Il paziente, quindi, deve essere messo in condizione concretamente di valutare ogni rischio ed ogni alternativa del trattamento sanitario o che lo riguardano.

Che tipo di informativa deve ricevere il paziente?

E’ necessario che il paziente sia adeguatamente informato sulla natura e sui rischi dell’intervento o del trattamento sanitario cui deve essere sottoposto, solo così potrà prestare idoneo consenso.

In particolare, l’informazione deve riguardare tanto i rischi di un esito negativo dell’intervento o di un possibile aggravamento delle condizioni di salute, quanto una possibile “inalterazione” delle condizioni stesse, e pertanto, della sostanziale inutilità dell’intervento (anche in questo casi, infatti, non sono indifferenti le conseguenze di carattere fisico e psicologico che ne possono derivare al paziente).

Quanto alla forma e alle modalità con cui deve essere prestato il consenso, la legge non richiede, in realtà, che il consenso sia manifestato necessariamente in forma scritta, tuttavia la prassi è quella di richiedere la sottoscrizione di un modulo prestampato che contiene le informazioni necessarie riguardo al trattamento che praticheremo.

Quindi la forma scritta è consigliata per la struttura sanitaria o il medico per la necessita di potere fornire la prova che il paziente si sia sottoposto volontariamente al trattamento.

Il consenso scritto è obbligatorio per legge in alcune situazioni definite: quando si dona o si riceve sangue, si partecipa alla sperimentazione di un farmaco o negli accertamenti di un’infezione da HIV, si è sottoposti ad anestesia, trapianto del rene tra viventi, interruzione volontaria della gravidanza, rettificazione in materia di attribuzione di sesso e nella procreazione medicalmente assistita.

Ad ogni modo, ciò non esclude che, in via generale, il consenso possa essere acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni anche attraverso videoregistrazioni, o per le persone con disabilità attraverso opportuni dispositivi.

In ogni caso, il consenso deve essere inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico (Legge 22 dicembre 2017, n. 219, art. 1, comma 4).

Se vuoi conoscere e ripercorre l’insegnamento della giurisprudenza in ordine alle caratteristiche essenziali che deve avere il consenso perché sia validamente dato, puoi trovare un utile approfondimento in questo articolo.

Quando e come prestare il consenso

Da quanto finora esposto, si conviene che il consenso può essere prestato solo dopo aver ricevute l’informativa dal medico, prima di sottoporsi all’intervento sanitario.

Se il consenso è rifiutato, il sanitario ha l’obbligo di non eseguire o di interrompere l’esame clinico o la terapia in questione.

Il consenso informato non è necessario nei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, casi di urgenza e, in particolare, nelle situazioni in cui si è in presenza di un soggetto che è in pericolo imminente per la sua salute; in tali situazioni il medico è tenuto ad intervenire e la sua attività è pienamente legittima.

Quanto alla validità dei moduli e ai formulari che normalmente vengono fatti firmare dalle strutture Sanitarie per acquisire il consenso del paziente, ti rinvio alla lettura di questo articolo per considerazioni necessarie.

Ci basti ora sapere che, sia pure è prassi comune per le strutture, procedere con speditezza, stante i carichi di lavoro molto elevati, ad acquisire il consenso tramite moduli precompilati, in realtà, bisogna ritenersi legalmente  non idoneo un consenso acquisito mediante la sottoposizione al paziente di un modo del tutto generico, da cui non sia possibile desumere con certezza che il paziente abbia ottenuto in modo esaustivo le informazioni.

L’invito, quindi, è quello di prestare molta attenzione, e di rivedere i consensi prestati su moduli non personalizzati e non specifici al caso.

Pertanto, di fronte ad un modulo di consenso informato precompilato e generico, sia pure sottoscritto dal paziente, lo stesso,  non può essere ritenuto idoneo ad assolvere all’obbligo informativo in capo al sanitario.

Ciò perché, come affermato dalla Suprema Corte, non è valido il consenso presunto.

Il consenso deve essere “specifico, esplicito, reale ed effettivo. Le ricadute in termini di onere della prova a carico della struttura sanitaria e dei medici, sono molteplici.

Delega al consenso e situazioni di incapacità

Un brevissimo accenno va fatto, inoltre, in ordine alla possibilità che il consenso informato a una determinata cura sia espresso da un’altra persona se questa è stata nominata dal paziente come fiduciario in base all’art.1 comma 3 legge 219/2017, secondo cui “ogni persona, può indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole”.

Il fiduciario, quindi, può ricevere le informazioni sanitarie ed esprimere il consenso informato invece del paziente, ma non dobbiamo dimenticarci, che il titolare del bene giuridico tutelato è pur sempre il paziente, con tutto ciò che ne deriva in termini informativi e di conseguenze dannose.

In presenza di paziente maggiorenne capace di intendere e di volere, solo a lui spetta il diritto di esprimere o meno il consenso all’atto medico. I familiari non hanno alcun ruolo, a meno che il paziente stesso non glielo riconosca.

Nel caso di pazienti anziani con seri problemi cognitivi che possano assurgere ad uno stato di incapacità decisionale persistente o addirittura permanente, il sanitario, è autorizzato a prestare le cure indispensabili e indifferibili.

Se l’incapacità non regredisce, previo colloquio coi familiari dell’assistito, occorre adire l’autorità giudiziaria per richiedere la nomina di una amministrazione di sostegno o altri eventuali provvedimenti a tutela del paziente.  In queste circostanze i familiari non hanno un potere decisionale legalmente riconosciuto (a meno che il paziente o il giudice in precedenza non glielo abbia concesso) e il rapporto del medico coi familiari serve unicamente per condividere un percorso assistenziale e terapeutico, ma senza che le decisioni dei familiari siano di per sé tassative e vincolanti per il medico.

Nei casi, invece di paziente interdetto per infermità mentale il soggetto sarà rappresentato dal tutore nominato dal tribunale e sarà lui ad avere titolo per esprimere il consenso alle prestazioni sanitarie nell’interesse della persona assistita.

 

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